Chi è stato veramente s. Agapito? Un martire di Praeneste. Tutto il resto che si presume di sapere sull’Agapito storico è il retaggio della ricca tradizione letteraria medievale, scritta in latino e parzialmente nota agli studiosi di cose prenestine ma mai sottoposta a strutturali indagini filologiche. Un simile approccio ha ridotto le Passioni di s. Agapito, le narrazioni della sua vita e del suo martirio, a fonti storiche, laddove non sempre era possibile od opportuno. Obliterandone, di conseguenza, il valore letterario. Alla scoperta di queste opere è stata dedicata la mia Tesi di Laurea in Letteratura Latina Medievale.
I secoli hanno conservato almeno tre differenti Passioni, che nella Tesi si è dimostrato derivare, indizi filologici alla mano, da un testo originale, perduto, collocabile entro l’arco cronologico 830-855. Prima di allora, della vita di Agapito nulla si sapeva o, meglio, nulla era stato scritto. I Martirologi storici più autorevoli erano avari di dati sul martire prenestino: il Geronimiano e quello del Venerabile Beda si limitano infatti a ricordare il martirio di Agapito a Preneste, a 33 miglia da Roma. Null’altro. Ma poco prima della metà del IX sec. un anonimo autore, probabilmente un monaco operante in Francia, avocò a sé l’onore e l’onere di compilare una Passione di Agapito sei secoli dopo la sua morte. Con invenzioni letterarie dunque, che intorno all’850, con l’impero di Carlomagno ineluttabilmente in disgregazione, diedero alla luce la “storia” di Agapito: un quattordicenne cristiano, predicatore di ineguagliabile facondia, dalla tempra d’acciaio e capace di compiere miracoli vieppiù strabilianti. I Martirologi storici redatti dopo la metà del IX sec. cominciarono così a riportare le vicende che la tradizione ha reso note. Il primo autore conosciuto a inserire nel suo Martirologio la storia di Agapito fu nell’855 Adone di Vienne, monaco e Vescovo della Francia orientale. Egli dovette attingere alla Passione originale, dalla quale sorse parallelamente un famiglia di testi.
La Passione più celebre, e la più diffusa, è la cosiddetta mombriziana, databile tra l’855 e il 900 e trascritta da Boninus Mombritius, umanista milanese autore dell’enciclopedico Sanctuarium seu Vitae Sanctorum. Egli attinse a un manoscritto austriaco, il Codex Vindobonensis, che riportava una Passione evidentemente poco nota. Il testo venne pubblicato non in edizione critica, con numerosi errori di interpretazione paleografica. Che si tratti della narrazione sulla vita di Agapito più fortunata lo dimostra la formidabile diffusione: sono ben 83 i codici che la riportano (testimoni), la maggior parte dei quali è conservata in Francia (33 manoscritti). Gli altri 50 testimoni sono divisi tra Italia, Vaticano, Austria, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Gran Bretagna. Tuttavia non si tratta del testo più vicino all’originale. Una differenza notevole la separa dal resto della tradizione, inserendola in un ramo separato. Si tratta della presenza di un personaggio, Anastasius, cornicularius (segretario) del principale persecutore di Agapito, Antiochus. Al personaggio oggi è fatto corrispondere s. Anastasio, persecutore di Agapito da questi convertito, la cui festa si celebra il 21 agosto e che nel testo originale non era menzionato. Malgrado sul piano narrativo la Passione mombriziana presenti differenze notevoli, sul piano linguistico conserva ancora molto dell’originale.
Le due altre Passioni di Agapito, meno diffuse ma narratologicamente più fedeli all’originale, sono state studiate nella forma pubblicata negli Acta Sanctorum, una monumentale opera in volumi, sorta di enciclopedia storico-letteraria in forma calendariale, che per ogni santo riporta una nota scientifica e il relativo corpus letterario. Le due Passioni degli Acta provengono una da un manoscritto burgundo (Francia centro-orientale) e una da un manoscritto di Montecassino. I due testi sono accomunati dall’assenza del personaggio Anastasius, per il resto divergono sensibilmente. Il testo burgundo, molto più fedele all’originale, del quale è tuttavia una riscrittura in bella forma, è riportato in soli nove manoscritti, perlopiù francesi, e uno solo italiano, conservato a Milano; la datazione va inclusa nell’arco cronologico 901-1000. Più tarda, testimoniata da un solo manoscritto e soprattutto quasi irriconoscibile in confronto alle altre, la Passione cassinese fu scritta probabilmente nel XII secolo. Si tratta di un testo notevolmente più lungo, che condivide poco con le altre redazioni: diverso lo stile, molto differenti i personaggi e vicende.
Vi è infine una quarta redazione della Passione, forse la più curiosa. Si tratta infatti del racconto relativo a san Venanzio di Camerino, il cui testo, a detta degli studiosi precedenti, sarebbe stato tratto pedissequamente da una delle narrazioni di Agapito. Tuttavia mai nessuno ha dimostrato la derivazione in modo filologicamente incontrovertibile. Anche in questa direzione è stato condotto il lavoro della Tesi. Il confronto più fecondo è stato con la Passione mombriziana: alla fine, in effetti, la derivazione è stata verificata; circa 100 anni dopo che l’anonimo scrittore della Passione di Agapito (mombriziana) aveva dato alla luce la sua opera, un altrettanto anonimo autore la conobbe, e, fatti i dovuti adattamenti trasformando Agapito in Venanzio e Preneste in Camerino, vergò a sua volta un’opera letteraria.
Testi dunque, narrazioni, letteratura. Non documenti. Per questo alle Passioni fin qui analizzate, e dunque alla letteratura agiografica su s. Agapito, non si può chiedere di raccontare la vera storia del martire senza distorsioni storiografiche. Le Passioni di Agapito sono opere dell’ingegno di persone vissute in precisi ambienti storici e culturali, con competenze e capacità variabili, e con tutta la soggettività umana (tratto distintivo di tutta la letteratura agiografica medievale). Ma contemporaneamente sono traccia dell’esperienza degli scrittori con coloro che della scrittura medesima sono i protagonisti. Con Agapito, dunque. E leggendo le Passioni, una valenza storica la si trova; si torna non al III secolo, ma al IX, quando i testi furono scritti, per risalire nei secoli nella nostra direzione. E non bisogna incappare nell’errore di bollare come sintetica la letteratura agiografica. Se è vero essa corrobora dati storici spesso esigui con una profusione di topoi letterari, è altrettanto vero che non si tratta di un’espediente o di una mistificazione. Il meccanismo di imitazione è piuttosto una garanzia: come il santo martire, campione della cristianità, ha in Cristo il modello di vita, così la letteratura sui santi ha nella letteratura cristiana, anzitutto scritturale, il modello linguistico e narrativo. Una letteratura, dunque, lungi dall’essere mera imitazione o compilazione a fini devozionali, parenetici od omiletici.
L’habitus di un articolo non specialistico ha reso necessaria una semplificazione drammatica ed estrema, che non dà conto della complessità dei rapporti intertestuali e delle configurazioni storico-critiche di una tradizione letteraria ricca come quella di Agapito. Se fino a qui sono state espresse soltanto conclusioni, il complesso lavoro filologico sotteso ad esse non è stato neanche sfiorato. La stessa Tesi, per sua natura rigida, dà conto dei soli aspetti filologici, critici e linguistici, obliterando il santo a favore del personaggio letterario.