Lazzaro, di Luigi Pirandello

Diego Spina è un fervente cattolico, fervente fin quasi a un folle misticismo, tanto da forzare l’educazione dei figli in istituti religiosi fino all’estrema conseguenza di rovinarne la salute: l’uno in Seminario ha perso energia e salute, ed ora è costantemente pallido, emaciato, malfermo (nonché sul punto di svestire l’abito religioso), l’altra, la più piccola, è ridotta su una sedia a rotelle. Il contrasto pedagogico sui figli ha sancito la fuga della moglie Sara (unica davvero sana) nella tenuta di campagna, dove ha formato una nuova famiglia, socialmente sconveniente e religiosamente peccaminosa, insieme al fattore Arcadipane. Questo lo stato da cui prende le mosse il dramma, tutto costruito sul contrasto uomo – trascendenza / donna – immantinenza. Pirandello, ateo nella vita e nella scrittura, affronta per la prima volta tematiche religiose e segnatamente cattoliche. Le reazioni al testo, portato in scena per la prima volta nel dicembre del 1929 (a Torino dalla compagnia di Marta Abba), furono contrastanti: c’è chi da allora ha cercato di avocare all’autore una presunta religiosità fino ad allora nascosta e chi in esso ha letto una critica al cattolicesimo; chi, infine, ha ridimensionato l’elemento religioso inserendolo, in modo più confacente alla poetica pirandelliana del periodo (quello dei miti) all’interno della più generale dialettica simbolica tra uomo (uranico, trascendente, mentale e un po’ baciapile) e donna (tellurica, immantinente, concreta, florida). Il breve passo riportato dal I atto si svolge su una scena dove “sullo sfondo d’un cielo di strano azzurro (quasi di smalto) è una grande croce nera con uno squallido Cristo dipinto, sanguinante” (nota dell’autore). Il dialogo tra Diego e Sara è un ottimo compendio, quasi un manifesto, dei due punti di vista. DS.

S. (indica il Crocefisso) Tu non vedi che Quello, e a tuo modo soltanto!
D. Non bestemmiare!
S. Io? Sono la prima a inginocchiarmi. Ma Quello, sai, è lì per dare la vita, non per dare la morte!
D. Ma sta’ zitta! Che vuoi parlare tu di vita e di morte? Ti sei dimenticata che la vita vera è di là! Quand’è finita la carne…
S. Io so che ce l’ha pur data Dio, anche questa di carne, perché la vivessimo qua, in salute e letizia! e nessuno può saper questo meglio d’una madre! Volevo la gioia, io, la gioia e la salute per i miei figli! E anche la ricchezza, sì, per loro, non per me (io ho fatto e faccio la contadina!). E se tu lasci il podere per i tuoi figli – guarda – sarò felice d’aver lavorato con queste braccia – lavorato davvero, sai! – a renderlo ricco come ora è, per loro!

Luigi Pirandello, Lazzaro, Come tu mi vuoi, Mondadori 1993, p. 23.

C’è sempre qualcosa più grande di te

Il ragazzo ha salvato la vita a Bill. Bill lo ha guardato, lui che con uno sguardo apre un mondo, e tutti hanno visto il ragazzo diventare suo figlio diletto. La gratitudine senza confini del tiranno. Il ragazzo è corso a nascondersi, ha dato di stomaco. Bill non sa che quindici anni fa nella battaglia di strada più epica, due bande di disperati, coltelli mazze e pugni, il ragazzo lo aveva visto uccidere suo padre. Ma la vendetta non è facile. È stato facile per il ragazzo diventare ombra e mano di Bill. Il fascino del capo e il potere concesso, però, hanno allontanato la vendetta, ogni giorno di più.

Gli ha salvato la vita, e adesso è corroso. L’odio alla fine prevale, ma il braccio vendicatore ormai è pesante, e Bill sopravvive. Sopravvive e perdona, sorprende tutti e umilia il ragazzo peggio che con la morte. Il ragazzo sparisce, si rialza, è forte, e lancia la sfida. Stavolta in battaglia, da guerriero. Ma la guerra, quella vera, entra in città. La battaglia è epica, ma poche decine di uomini e vendette private sono poesia antica davanti a cannoni che spazzano tutto. Qualcosa di più grande prevale. Una morte senza volto copre Bill, il ragazzo, il loro sangue. Solo uno sopravvive, e va via. Della guerra resterà memoria, di questi uomini nulla.

(Ispirato all’opera di J. Cocks, S. Zaillian, K. Lonergan).